La nostra Tradizione
La Tradizione
I Suoni Antichi incarnano un legame profondo con la realtà agricola maceratese, la tradizione e la devozione verso Sant'Antonio Abate, un legame che si manifesta attraverso la partecipazione attiva e il sacrificio durante i festeggiamenti annuali del 17 gennaio. Questo impegno si materializza nell'allestimento di un imponente carro allegorico lungo 14 metri, che diventa il fulcro delle celebrazioni mentre percorre le strade di Macerata Campania, trasmettendo un messaggio di devozione e festa alla comunità . Si vive una combinazione di sacro e profano: il sacro è appunto la venerazione per il Santo, il profano è la riproposta dei riti apotropaici che i nostri antenati perpetravano. Con il rumore delle botti, dei tini e delle falci allontanavano il Male come da insegnamenti di Sant'Antuono contro il Demonio, ed oggi anche noi proseguiamo tali rituali. Come fu per Lui nel deserto della Tebaide, tutti ancora oggi viviamo continuamente tentati dal maligno e, come si sparano i botti per una festa e si battono le mani per un successo, il rumore lo allontana dalle nostre vite. Come tutte le tradizioni anche a Macerata Campania assistiamo ad una giusta continuazione degli usi e delle consuetudini, ma concediamo anche che il progresso ed il libero arbitrio, "che la nostra religione vanta" come diceva Sant'Agostino, lascino le persone dimostrare la fede per il Santo come meglio si crede e più si sente giusto, senza mai trascurare i valori cristiani intrinsechi.
Sant'Antonio Abate
Antonio Abate, chiamato sant'Antonio il Grande, sant'Antonio d'Egitto, sant'Antonio del Fuoco, sant'Antonio del Deserto e sant'Antonio l'Anacoreta, è stato un abate ed eremita egiziano ed è protettore degli animali domestici, del fuoco e di tanti mestieri che con esso si praticano come il fabbro, il ceramista e il pizzaiolo. È considerato il fondatore del monachesimo cristiano e il primo degli abati; a lui s deve la costituzione in forma permanente di famiglie di monaci che sotto la guida di un padre spirituale, abbà , si consacrarono al servizio di Dio. La sua vita è stata tramandata dal suo discepolo Atanasio di Alessandria. È uno dei quattro Padri della Chiesa d'Oriente che portano il titolo di "Grande" insieme allo stesso Atanasio, a Basilio e a Fozio di Costantinopoli. Antonio nacque a Coma (l'odierna Qumans) il 12 gennaio del 251, figlio di agiati agricoltori cristiani. Rimasto orfano prima dei vent'anni, con un patrimonio da amministrare e una sorella minore cui badare, sentì ben presto di dover seguire l'esempio di alcuni anacoreti, così, distribuiti i beni ai poveri e affidata la sorella a una comunità femminile, intraprese una vita solitaria nei deserti attorno alla sua città , vivendo in preghiera, povertà e castità . Si racconta che ebbe una visione in cui un eremita come lui riempiva la giornata dividendo il tempo tra preghiera e l'intreccio di una corda. Da questo dedusse che, oltre alla preghiera, ci si doveva dedicare a un'attività concreta. Così ispirato condusse da solo una vita ritirata, dove i frutti del suo lavoro gli servivano per procurarsi il cibo e per fare carità . In questi primi anni fu molto tormentato da tentazioni fortissime, dubbi lo assalivano sulla validità di questa vita solitaria. Consultando altri eremiti venne esortato a perseverare. Gli consigliarono di staccarsi ancora più radicalmente dal mondo. Allora, coperto da un rude panno, si chiuse in una tomba scavata nella roccia nei pressi del villaggio di Coma. In questo luogo sarebbe stato aggredito e percosso dal demonio; senza sensi venne raccolto da persone che si recavano alla tomba per portargli del cibo e fu trasportato nella chiesa del villaggio, dove si rimise. In seguito Antonio si spostò verso il Mar Rosso, sul monte Pispir, dove esisteva una fortezza romana abbandonata, con una fonte di acqua. Era il 285 e rimase in questo luogo per 20 anni, nutrendosi solo con il pane che gli veniva calato due volte all'anno. In questo luogo egli proseguì la sua ricerca di totale purificazione, pur essendo aspramente tormentato dal demonio. Con il tempo molte persone vollero stare vicino a lui e, abbattute le mura del fortino, liberarono Antonio dal suo rifugio. Antonio allora si dedicò a lenire i sofferenti operando, secondo tradizione, "guarigioni" e "liberazioni dal demonio". Il gruppo dei seguaci di Antonio si divise in due comunità , una a oriente e l'altra a occidente del fiume Nilo. Questi Padri del deserto vivevano in grotte e anfratti, ma sempre sotto la guida di un eremita più anziano e con Antonio come guida spirituale.
Nel 311, durante la persecuzione dell'imperatore Massimino Daia, Antonio tornò ad Alessandria per sostenere e confortare i cristiani perseguitati. Non fu oggetto di persecuzioni personali. In quell'occasione il suo amico Atanasio scrisse una lettera all'imperatore Costantino I per intercedere nei suoi confronti. Tornata la pace, Antonio, pur restando sempre in contatto con Atanasio e sostenendolo nella lotta contro l'arianesimo, visse i suoi ultimi anni nel deserto della Tebaide dove, pregando e coltivando un piccolo orto per il proprio sostentamento, morì all'età di 105 anni il 17 gennaio del 356. Venne sepolto dai suoi discepoli in un luogo segreto. Dopo il ritrovamento del luogo di sepoltura nel deserto egiziano, le reliquie sarebbero state prima traslate nella città di Alessandria. Ciò avvenne intorno alla metà del VI secolo: numerosi martirologi medievali datano la traslazione al tempo di Giustiniano (527-565). Poi, a seguito dell'occupazione araba dell'Egitto, sarebbero state portate a Costantinopoli (670 circa). Nell'XI secolo il nobile francese Jaucelin (Joselino), signore di Châteauneuf, nella diocesi di Vienne, le ottenne in dono dall'imperatore di Costantinopoli e le portò in Francia. Qui il nobile Guigues de Didier fece poi costruire, nel villaggio di La Motte aux Bois che in seguito prese il nome di Saint-Antoine-l'Abbaye, una chiesa che accolse le reliquie poste sotto la tutela del priorato benedettino che faceva capo all'abbazia di Montmajour (vicino ad Arles, in Provenza). Nello stesso luogo si originò il primo nucleo di quello che poi divenne l'Ordine degli Ospedalieri Antoniani, la cui vocazione originaria era quella dell'accoglienza delle persone affette dal fuoco di sant'Antonio. L'afflusso di denaro proveniente dalla questua fece nascere forti contrasti tra il priorato e i Cavalieri Ospitalieri. I primi furono costretti così ad andarsene, ma portarono con sé la reliquia della testa di Sant'Antonio. A partire dal XV secolo, il priorato iniziò a sostenere di possedere la sacra reliquia, sottratta durante la fuga agli antoniani. La sacra reliquia venne solennemente riposta ad Arles nella chiesa di Saint-Julien, di loro proprietà . Nel 1517 il cardinale Luigi d'Aragona, nel corso di un suo viaggio per l'Europa, si recò sia a Saint-Antoine-l'Abbaye che a Montmajour e catalogò "osso per osso" le reliquie custodite in ciascuno dei due sepolcri rilevando la palese loro duplicazione e segnalando tutto al Papa, senza però risolvere l'impasse. Le testimonianze più antiche identificano Jocelino come nipote di Guglielmo, colui che, parente di Carlo Magno, dopo essere stato al suo fianco in diverse battaglie, si era ritirato a vita monastica e aveva fondato il monastero di Gellone (oggi Saint-Guilhem-le-Désert). Inoltre, se a partire dall'XI secolo incomincia a svilupparsi il culto taumaturgico nella città di Saint-Antoine-L'Abbaye, attorno alle spoglie di Antonio, nello stesso periodo si origina la tradizione che narra della presenza del corpo del santo all'interno dell'abbazia di Lézat (Lézat-sur-Lèze). Quindi i corpi di Antonio, in Occidente, diventano tre, e tali rimarranno fino al XVIII secolo. In Italia, la reliquia di un frammento del braccio del santo anacoreta è conservata a Novoli, in Puglia, nel santuario dedicato. La cittadina riserva ogni anno al santo patrono grandiosi festeggiamenti. Altro frammento del braccio del santo è custodito a Tricarico, in Basilicata, sede di una diocesi millenaria, nella cattedrale della città . Un frammento osseo risalente al 1830 è invece conservato all'interno della chiesa di San Leonardo a Colli a Volturno, in Molise.
La popolarità della vita del santo, esempio preclaro degli ideali della vita monastica, spiega il posto centrale che la sua raffigurazione ha costantemente avuto nell'arte sacra. A causa della diffusissima venerazione, troviamo immagini del santo, solitamente raffigurato come un anziano monaco dalla lunga barba bianca, nei codici miniati, nei capitelli, nelle vetrate, nelle sculture lignee destinate agli altari e alle cappelle, negli affreschi, nelle tavole e nelle pale poste nei luoghi di culto. Con l'avvento della stampa la sua immagine comparve anche in molte incisioni che i devoti appendevano nelle loro case così come nelle loro stalle. Nel periodo medievale, il culto di sant'Antonio fu reso popolare soprattutto per opera dell'ordine degli Ospedalieri Antoniani, che ne consacrarono altresì l'iconografia: essa ritrae il santo ormai avanti negli anni, mentre incede scuotendo un campanello (come facevano appunto gli Antoniani), in compagnia di un maiale (animale dal quale essi ricavavano il grasso per preparare emollienti da spalmare sulle piaghe). Il bastone da pellegrino termina spesso con una croce a forma di tau che gli Antoniani portavano cucita sul loro abito.